E
poi, invece, ci sono autori che non promettono qualcosa di definito e
che chiedono al lettore soltanto fiducia,
affinché si lasci portare per mano, senza fare troppe domande,
facendosi solo incantare dal panorama, qualunque esso sia. Se ci si
affida a uno scrittore così, bisogna appunto mettere da parte ogni
aspettativa precisa, ed essere pronti a continui cambiamenti di
scenario, vagando fra racconti brevissimi, che sono poco più di
un'illuminazione felice, e storie appena più complesse, in cui si
muovono o si agitano personaggi disegnati con maestria.
In
questa categoria dell'imprevedibile che non delude
io colloco ad esempio Graham
Greene,
coi suoi racconti. La raccolta pubblicata non molto tempo fa da
Mondadori (nella collana degli “Oscar”) è importante anche
perché mette a disposizione del lettore italiano tutti i racconti
dello scrittore inglese, unendo quindi in un solo ponderoso volume
opere di epoche diverse, che coprono in sostanza tutto l'arco della
biografia di Greene, o quasi.
Il laboratorio narrativo di questo autore
è sorprendente per varietà di temi e sapienza stilistica. E' noto
certamente per i suoi romanzi, dai quali (anche con la sua
collaborazione, a volte) sono stati tratti numerosi film; ma i
racconti non sono “scarti” del suo lavoro, bensì opere di
prim'ordine: dalla cura con la quale sono immaginati e scritti si
ricava l'impressione che il loro autore li tenesse in gran
considerazione – e che soprattutto con essi intendesse offrire al
lettore non una copia in “formato ridotto” dei suoi romanzi ma un
lato diverso e ugualmente importante della sua inventiva e della sua
“poetica”.
Dicevo
che, in qualche modo, i racconti di Graham Greene si possono
classificare nella categoria dell'imprevedibile,
e questo non solo per la varietà di temi e di soggetti che,
nell'insieme, presentano, ma anche perché sembrano costeggiare con
attenzione e talora con delicata ironia il mistero
che s'insinua nelle vite degli uomini e delle donne comuni; ma non si
tratta quasi mai di un mistero eclatante,
non presenta tratti spaventosi o sovrannaturali, e nemmeno
grotteschi, ma è piuttosto legato al difficile rapporto fra gli
esseri umani e la loro (problematica, incompiuta) formazione, fra
l'età adulta e un'infanzia che ha lasciato sempre qualcosa in
sospeso – qualcosa che in un momento qualsiasi della nostra vita
torna improvvisamente a cercarci, a interrogarci.
Non a caso i bambini – o i ricordi
d'infanzia riattraversati in vividi flashback – sono fra i
protagonisti ricorrenti di questi racconti.
Ragazzini
sono ad esempio protagonisti del racconto I
distruttori
che apre una delle raccolte più importanti di Greene, “Ventuno
racconti” (scritti
in epoche diverse, fra il 1929 e il 1954).
La cattiveria spensierata dei protagonisti, carichi della
determinazione che solo la giovane età può dare, porta a
conseguenze serie, e al tempo stesso comiche, un gioco crudele.
In
Mansioni
speciali,
sempre dalla raccolta “Ventuno
racconti”,
il protagonista, il signor Ferraro, scopre attonito di essere stato
ingannato dalla propria dipendente, e di essersi completamente
sbagliato nel giudicarne le qualità – è uno dei racconti nei
quali la vena ironica di Greene ha modo di esprimersi in tutto il suo
splendore, ritraendo gli effetti di un brusco disinganno sul
temperamento flemmatico e veramente british
del protagonista.
Anche
ne Il
film porno
l'ironia di Greene domina la narrazione, però coglie con tratto
delicato (ed evitando quindi patetismi) la malinconia del
protagonista maschile, deluso dal matrimonio, che si scopre a
ricordare con tenerezza, grazie a uno “scherzo del destino” (la
“pellicola audace” ricordata nel titolo), una fugace “compagna
di avventure” persa ormai di vista nel fuggire degli anni.
Se
si vuole comprendere il modo nel quale lo scrittore inglese
interpreta e considera il tema del mistero, si deve aver presente Un
barlume di spiegazione,
altro bel racconto della raccolta giovanile dei “Ventuno
racconti”.
Qui il protagonista-narrante rivive un episodio della sua infanzia, e
a questo collega la scelta più importante della sua vita (lo si
comprende, grazie a un piccolo e non ingiustificato coup
de théâtre,
al termine del racconto); egli sostiene di aver conosciuto il Male
incarnato in una precisa persona, un certo Blacker, che da bambino
gli fece intuire dolorosamente l'oscurità del “mondo adulto”.
Lo
stesso tipo di ispirazione troviamo ne La
stanza nel seminterrato,
un vero e proprio capolavoro, nel quale il protagonista, Philip Lane,
un bambino, si trova coinvolto nell'infelicità domestica
dell'adorato maggiordomo Baines. Il mondo degli adulti, considerato
in sé un mistero
affascinante ma anche destabilizzante dal bambino, contiene dolori e
rancori, passioni e follie, che egli non può comprendere, se ne
sente schiacciato; per salvare le trame degli adulti, gli si chiede
di conservare un segreto, di mentire e poi di tradire, e in tutto
questo finisce per vedere – come il protagonista del racconto
precedente – una “oscurità” insana che lo atterrisce; però, a
differenza dell'altro racconto, qui non c'è riscatto, e il piccolo
protagonista viene segnato per sempre dai tragici eventi che
inconsapevolmente, rivendicando il suo sacrosanto diritto
all'innocenza e alla purezza, contribuisce a provocare.
«Baines stava sollecitando, sperando, implorando, comandando, e la ragazza guardava il tè e i vasetti di porcellana e piangeva. Baines le passò il proprio fazzoletto attraverso il tavolo, ma lei non volle asciugarsi gli occhi; lo torse nel palmo, e lasciò scorrere le lacrime, non voleva far nulla, non voleva parlare, voleva solo opporre una silenziosa resistenza a ciò che temeva, desiderava, e rifiutava di ascoltare, a ogni costo. I due cervelli si battevano sopra le tazze del tè, pur amandosi, e a Philip lì fuori arrivava, oltre il prosciutto, le vespe e il polveroso cristallo di Pimlico, una confusa segnalazione di lotta.Philip era indagatore, non capiva, e voleva sapere. Andò a collocarsi sulla soglia per vedere meglio; era meno protetto di quanto non fosse mai stato; le vite di altre persone per la prima volta lo commuovevano, lo opprimevano e lo plasmavano. Non sarebbe mai sfuggito a quella scena. Nell'arco di una settimana l'aveva dimenticata, ma condizionò la sua carriera, la lunga austerità della sua vita; ricco e solo, ormai in punto di morte, dicono che avesse domandato: “E lei chi è?”» [Greene 2011a, p. 129]
«“Era carina, sì?” disse la signora Baines, con una voce amara a cui non era abituato.“E' sua nipote.”“A quanto dice lui” replicò dolcemente la signora Baines, come l'orologio sotto la sua fodera. Cercò di scherzarci su. “Quel birbante. Non dirgli che lo so, signorino Philip.” Rimase assolutamente immobile tra il tavolo e la porta, riflettendo intensamente, progettando qualcosa. “Promettimi che non gli dirai nulla. Ti darò quel Meccano, signorino Philip...”Lui le volse le spalle; non avrebbe promesso, ma non avrebbe raccontato. Non voleva avere niente a che fare con i loro segreti, con le responsabilità che intendevano scaricargli addosso. Il suo unico desiderio era dimenticare. Aveva già ricevuto una dose di vita più abbondante di quanto si fosse aspettato, ed era spaventato. “Un Meccano 2A, signorino Philip.” Non riaprì mai più il suo Meccano, non costruì mai più nulla, non creò mai più nulla; morì, vecchio dilettante, sessant'anni dopo, non lasciandosi dietro nient'altro che il ricordo, nella memoria, della voce maligna della signora Baines che gli dava la buonanotte, dei suoi passi decisi e silenziosi sulla scala per il seminterrato, mentre scendeva, scendeva giù.» [Greene 2011a, p. 133]
Ci
sono racconti poi che sono quasi boutade,
ben scritte comunque e gradevoli da leggere (ad esempio, Ahimè,
povero Maling
o Uomini
al lavoro).
Il
“mistero” si presenta in maniera beffarda ne L'argomentazione
della difesa,
in cui, nell'àmbito di un processo per omicidio, il rigore della
prova costituita dalle testimonianze oculari si rivela del tutto
fuori luogo davanti a un singolare “imprevisto”.
Lo
stesso connubio di noir
e atmosfera paradossale si trova nel racconto Un
posticino dalle parti di Edgware Road,
in cui un uomo solitario fa un incontro inquietante, all'interno di
una sala cinematografica, e l'equilibrio psichico che in lui era già
“pericolante”, si incrina decisamente.
L'atmosfera
di Al
di là del ponte
ricorda quella di alcuni romanzi di Greene: tutto ruota intorno al
destino del signor Calloway, in fuga perché in possesso di un
milione che non gli appartiene, destino sul quale molti, incuriositi,
si interrogano. Per lungo tempo sembra non accadere nulla, le
giornate del sig. Calloway passano monotone, e persino i poliziotti
che gli dànno la caccia se lo lasciano sfuggire sotto il naso, ma
sarà un cane a far precipitare gli eventi, senza volerlo.
La
giovane protagonista di Una
corsa in campagna
è stufa della vita borghese che è costretta a vivere nella casa
paterna e sogna la fuga “romantica” in compagnia di Fred, un
ragazzo scapestrato considerato in genere un “buono a nulla”;
forse lei è convinta di poterlo “redimere”, e comunque è
affascinata dai suoi modi, però proprio la fallimentare “fuga in
campagna” le rivelerà quanto Fred, con la sua autentica e
ingestibile disperazione, sia in realtà lontano dai suoi ideali e
dai suoi “sogni” e quanto invece lei sia attaccata alle proprie
sicurezze “borghesi”, che dopo il disinganno si dimostrano
certezze tutto sommato ragionevoli.
Il
rapporto di un uomo con la propria infanzia e i ricordi struggenti a
questa legati si presenta ancora nel racconto L'innocente:
il protagonista torna dopo molti anni di assenza in un luogo per lui
significativo, e questo ritorno gli porta alla mente la bambina della
quale in un tempo ormai remoto era ingenuamente innamorato; riesce
persino a ritrovare un bigliettino che le aveva scritto, e che mai la
destinataria aveva letto; ma proprio al contatto con quello scritto
infantile tutta la dolcezza del ricordo svanisce: si è condannati –
riflette il protagonista – a leggere ogni cosa con gli occhi
disincantati del presente.
«Mi ricordai della ragazzina minuta, così come ci si ricorda di qualcuno senza avere una fotografia a cui fare riferimento. Era di un anno più grande di me: doveva avere quasi otto anni. L'amavo con un'intensità che da allora non ho mai più conosciuto, credo, per nessuna. Perlomeno, non ho mai fatto l'errore di ridere dell'amore dei bambini. Possiede la terribile ineluttabilità della separazione, perché non si può realizzare. Certo, si inventano racconti di case in fiamme, di guerre e assalti disperati per dimostrare il proprio coraggio agli occhi di lei, ma mai di matrimonio. Si sa, senza che venga detto, che non può accadere, ma questa consapevolezza non porta a soffrire di meno.[…]Esiste qualcosa nell'innocenza che non ci si rassegna mai del tutto a perdere. Adesso, quando non sono soddisfatto di una ragazza, mi basta andare a comprarne un'altra. All'epoca, invece, non mi era venuto in mente niente di meglio che scrivere un messaggio appassionato e lasciarlo scivolare in un buco (era straordinario come iniziassi a ricordare ogni cosa) nel montante di legno del cancello. […] Allora, pensavo, non eravamo in grado di esprimere granché; ma l'espressione inadeguata non significava che il dolore fosse più superficiale di quello che talvolta soffrivamo ora. Ricordai come, per giorni, avessi tastato in quel buco, continuando a trovarvi il pezzetto di carta. Poi le lezioni di ballo erano terminate. Probabilmente l'inverno successivo avevo già dimenticato.[…]Fu sconvolgente vedere, alla luce di quella minuscola fiamma, un'immagine di oscena crudezza. Non poteva esserci dubbio: c'erano le mie iniziali sotto quel disegno, infantile e impreciso, di un uomo e una donna. Risvegliò tuttavia meno ricordi delle nuvolette di fiato, delle borse di tela, di una foglia umida, o del monticello di sabbia. Non lo riconoscevo: poteva averlo disegnato uno sconosciuto sporcaccione sul muro di un bagno. Tutto ciò che riuscivo a ricordare erano la purezza, l'intensità, la sofferenza di quella passione.All'inizio mi sentii come tradito. […] Più tardi, però, quella notte, […] cominciai a rendermi conto della profonda innocenza di quel disegno. Avevo creduto di disegnare qualcosa di bello e pieno di significato; era solo adesso, dopo trent'anni di vita, che quell'immagine mi sembrava oscena.» [Greene 2011b, pp. 119-121]
Richiama
l'atmosfera “esotica” di certi romanzi di Greene il racconto
Un'opportunità
per il signor Lever,
nel quale la spedizione africana dell'attempato signor Lever, ultima
opportunità per lui di risollevare le proprie sorti, si rivela
estremamente difficoltosa, per le condizioni ambientali e per
l'impreparazione del protagonista, che sino a quel momento ha sempre
vissuto nell'ambiente borghese di Londra. Quando gli sembra di aver
raggiunto la mèta del suo viaggio, ovvero un uomo che deve approvare
l'acquisto di un certo macchinario prodotto da una ditta di cui Lever
è rappresentante, scopre che la febbre gialla l'ha preceduto. Lever
non si dà per vinto e mette in atto un piano dettatogli dalla
disperazione; ma servirà a nulla? – sembra chiedersi e chiederci
Greene in un finale che è ironico e pudico al tempo stesso.
Il
racconto Fratello,
ambientato a Parigi, è piuttosto breve ma intenso. I comunisti che,
braccati dalla polizia, piombano nel bar del protagonista, sembrano
antipatici, nella loro sfrontatezza, quasi teppisti. (Bisogna
ricordare che questo, come quasi tutti i “Ventuno
racconti”,
risale agli anni Trenta e quindi descrive atmosfere, anche politiche,
di quell'epoca). Il proprietario del bar è dunque visibilmente
sollevato quando giungono finalmente gli agenti di polizia; eppure
quando scopre in cantina uno dei giovani comunisti, un tedesco,
ferito a morte, il suo animo si rivolta contro la crudeltà del
destino e contro la spietatezza umana, sicché la visione delle cose
si capovolge, e “l'ordine” rivela un cuore cinico e indifferente.
«[...] Aveva gli occhi aperti, che fissavano il proprietario con quell'espressione disperata già avuta in vita. Il proprietario non riuscì a credere che fosse morto. “Kamerad” disse, chinandosi, mentre il fiammifero gli scottava le dita e si spegneva, cercando di richiamare qualche frase tedesca, ma riuscì a ricordare soltanto, mentre si chinava più basso: “Mein Bruder”. Poi a un tratto si voltò, risalì di corsa le scale, agitò la scatola dei fiammiferi sul viso dell'ufficiale e gridò con una bassa voce isterica, a lui, ai suoi uomini e all'avventore, chino sotto la bassa ventola verde: “Cochons! Cochons!”.» [Greene 2011c, p. 175]
Con
Io
faccio la spia
lo scrittore si tuffa ancora una volta nel mondo dell'infanzia. Anche
qui il protagonista, il piccolo Charlie Stowe, osserva con curiosità
il mondo degli adulti, rappresentato dal padre, e una notte coglie
uno scorcio della loro misteriosa e inquietante vita, che non riesce
a decifrare. Tuttavia comprende che il padre, che fino a quel momento
ha sottovalutato, merita la sua stima.
Di
tanto in tanto il “mistero” nella sua accezione più “oscura”
fa capolino anche nelle storie narrate da Graham Greene: è il caso,
ad esempio, del racconto Prova
irrefragabile.
Il maggiore a riposo Philip Weaver chiede al colonnello Crashaw,
presidente della “Società psichica”, di poter tenere una
conferenza per raccontare una sua «straordinaria esperienza». Il
colonnello dà il suo assenso, sebbene la richiesta gli sembri
insolita anche perché vaga. Nel corso della conferenza, Weaver –
che nessuno dei presenti sino a quel momento conosceva – si rivela
uno strano personaggio, che parla con una voce stridula, afferma cose
banali e perde spesso il filo del discorso. Ad un tratto, quando
Crashaw sta per interrompere il noioso e strambo oratore, si verifica
un fatto spiacevole, fra lo sconcerto dei presenti, e viene fatta una
scoperta incredibile. Ma anche in un racconto come questo, che parla
di una “realtà invisibile” e dell'“occulto” rapporto fra
spirito e corpo, Greene evita con ironia le convenzioni del genere, e
proprio nelle ultime righe della narrazione, in maniera magistrale
ribalta la visione “misterica” delle cose, restituendo alla
realtà materiale e al corpo la loro importanza.
La
fine della festa
è un altro racconto sulle esperienze dell'infanzia, delicato e
profondo. I protagonisti sono Peter e Francis Morton, fratelli
gemelli. I due bambini, come ogni anno, sono stati invitati ad una
festa, ma non è una prospettiva gioiosa per loro: Francis infatti,
impressionabile e sensibile, temendo il buio, ha paura di essere
costretto, come gli anni precedenti, a giocare a nascondino, e il
gemello ne è cosciente e vorrebbe proteggerlo; ma gli adulti non
capiscono il problema, e non c'è verso di spiegarglielo. Per loro i
bambini hanno semplicemente il dovere di affrontare le loro paure e
di superarle, anche attraverso il gioco, se necessario. Ma Francis
non può farcela: Peter lo sa, è l'unico a saperlo, a percepirlo.
Vorrebbe trovare un modo per sottrarre Francis a quella festa, ma i
suoi tentativi falliscono. La separazione irreparabile fra adulti e
bambini domina tutto il racconto e appare un enigma senza soluzione,
carico di sorda minaccia.
“Una
sensazione di realtà”
è un'altra notevole raccolta di Graham Greene, più recente rispetto
ai “Ventuno
racconti” (essendo
stata pubblicata per la prima volta nel 1963), e più orientata verso
la personale visione che lo scrittore inglese ha del mistero, nella
quale l'elemento umano e onirico predomina sul “sovrannaturale”
canonico.
Il
racconto che apre la raccolta, uno dei più lunghi tra quelli scritti
da Greene, è senz'altro una piccola perla. S'intitola Sotto
il giardino,
e tratta un tema che, come si è visto, è particolarmente caro al
suo autore, ovvero il rapporto fra infanzia ed età adulta. William
Wilditch, che nella vita ha molto viaggiato, ha scoperto di avere una
grave malattia, dalla quale, nonostante le rassicurazioni dei medici
(o forse anche a causa di quelle), teme di non poter guarire. Decide
quindi di ritornare, dopo moltissimi anni di assenza, a Winton, nella
casa con giardino in cui aveva vissuto da bambino, insieme alla madre
e al fratello. Nel frattempo però la madre è morta e la casa è
passata in proprietà giusto al fratello George, che è sorpreso (ma
non dispiaciuto) di vederlo tornare dopo tanto tempo.
William
insegue qualcosa che inizialmente non sa neppur lui definire con
chiarezza; ha bisogno di fare luce su un particolare episodio della
propria infanzia, e solo tornando nella vecchia casa a Winton se
ne rende conto. Sembra che da quell'episodio sia dipeso lo sviluppo
di tutta la sua vita successiva: ma soltanto lui lo sa, nessun altro
lo intuisce o lo sospetta, anzi saggiando i ricordi di infanzia di
George, si accorge che non combaciano esattamente coi propri. William
è infatti convinto di essere sparito da casa per più giorni,
quand'era bambino, ma il fratello non lo ricorda affatto. E proprio
in quei giorni in cui lui era forse
scomparso da casa (non riuscirà ormai comunque ad essere certo che
quel fatto sia accaduto), aveva scoperto un mondo parallelo nascosto
sotto il giardino. Sotto la realtà quotidiana c'era qualcosa la cui
esistenza l'allora
bambino William non sospettava.
Nella
notte di permanenza nella vecchia casa di Winton, l'adulto
William non potendo dormire comincia a mettere su carta i propri
ricordi e, come in un sogno ad occhi aperti, rivive lo strano
incontro con il vecchio Javitt, che trattava l'allora bambino William
come se fosse un adulto, usando un linguaggio di una franchezza
sconcertante. Il bambino William non poteva comprendere allora il
vero senso di tutto ciò che Javitt gli diceva, e neppure dopo tanti
anni, fattosi adulto, può decifrarne appieno il mistero. Chi era
quell'uomo? Era mai esistito? o era stato prodotto dalla fantasia del
piccolo
William, durante un sogno, facendolo parlare con frasi prese a
prestito da altri adulti reali? In ogni caso, Javitt, chiunque fosse,
vero o immaginario, aveva rappresentato per William bambino il brusco
incontro con il mistero
della vita adulta – esattamente come Baines per il piccolo Philip
nel racconto La
stanza nel seminterrato
[v. sopra], o come Blacker per il piccolo David in Un
barlume di spiegazione
[v. sopra] – tuttavia qui l'esito non è tragico (come ne La
stanza nel seminterrato)
né si può dire che l'adulto sia realmente un “cattivo” (come in
Un
barlume di spiegazione).
Javitt qui è la possibilità di una “vita altra”, totalmente
inaspettata per il piccolo William, al quale sino a quel momento sono
stati imposti i dettami educativi della rigida madre, seguace del Fabianesimo, da lei inteso come un'etica severa, nemica di ogni immaginazione letteraria. Il “mistero” e la fantasia, che erano stati
banditi dall'educazione di William, si sono presi la rivincita,
comparendo però, con la figura di Javitt, in una forma piuttosto
insolita, sarcastica, collerica e irriverente, se non addirittura
anarchica (ancora una volta Greene si diverte a scombinare i canoni
del “racconto di mistero”).
«Non sono sicuro di questi fatti, si limitano a essere plausibili, ancora non posso vedere quello che sto descrivendo. Ma so che non avrei ritrovato George e mia madre per molti giorni... Non posso essere rimasto sottoterra, checché ne dica George, meno di tre giorni e tre notti. E' mai possibile che lui abbia davvero dimenticato un'esperienza così inesplicabile?Ed ecco che già sto controllando il mio racconto, come se si trattasse di qualcosa che è realmente accaduto; ma quale possibile attinenza hanno i ricordi di George con gli eventi di un sogno?Sognai di attraversare il lago, sognai... questo è l'unico fatto certo, e io devo avvinghiarmi a esso, al fatto che sognai. Come si affliggerebbe la mia povera mamma se potesse sapere che, sia pure soltanto per un momento, ho incominciato a pensare a questi eventi come a fatti reali... ma naturalmente, se le fosse possibile sapere ciò che sto pensando adesso, non vi sarebbe alcun limite al campo delle possibilità.[…] Ben presto mi smarrii, eppure, come avrei potuto smarrirmi se il lago non era più grande di uno stagno e l'isola, di conseguenza, non molto più grande del piano di un tavolo da cucina?Ancora una volta mi sorprendo a sottoporre a un controllo i miei ricordi, come se si trattasse di fatti reali. Un sogno non tiene alcun conto delle dimensioni. Una pozzanghera può contenere un continente, e un gruppetto d'alberi può estendersi nel sonno fino ai confini del mondo. Sognai, sognai che mi ero smarrito e che la notte cominciava a scendere.» [Greene 2011d, pp. 235-236]
«Non appena scorse il lago, capì quanto George avesse ragione. Non era che un piccolo stagno e a un paio di metri dalla sponda emergeva un'isoletta delle stesse dimensioni della stanza in cui aveva cenato la sera prima. Vi crescevano, sì, cespugli, e anche alcuni alberi, uno dei quali più alto e più grosso degli altri, ma senza dubbio non si trattava né del pino a ombrello del racconto di W.W., né della grande quercia dei suoi ricordi.[…]I cespugli gli arrivavano appena alla vita e si inoltrò facilmente in mezzo a essi fino all'albero più alto. Era difficile credere che anche un bimbetto potesse essersi smarrito in un luogo simile. Si trovava nel mondo che George vedeva ogni giorno, facendo il giro di un giardino non molto vasto. Per un minuto, forse, mentre si apriva un varco tra i cespugli, gli parve che tutta la sua vita fosse stata sciupata, così come un uomo tradito dalla sua donna cancella dalla propria mente anche gli anni felici vissuti con lei. Se non fosse stato per il suo sogno della galleria e dell'uomo barbuto e del tesoro nascosto non avrebbe forse potuto condurre un'esistenza meno irrequieta, come George, ammogliandosi, avendo figli e una casa? Cercò di convincersi del fatto che stava esagerando l'importanza di un sogno. […] Poteva almeno andar fiero di non aver mai preso sul serio le sue varie professioni: non era stato fedele a nessuno... neppure alla donna in Africa (Javitt avrebbe approvato la sua slealtà).» [Greene 2011d, pp. 276-277]
In
Visita
a Morin
il “mistero” ha una natura più sfumata, tutta interiore. Il
personaggio che è anche l'io narrante del racconto riesce a
ritrovare quasi per caso uno scrittore che da ragazzo lo aveva
incuriosito, Pierre Morin, del quale non aveva da tempo più sentito
parlare. Sino a quel momento lo ha ritenuto un autore cattolico,
dalla fede intransigente e priva di incrinature; parlandogli
finalmente di persona, nella notte di Natale, scopre, da agnostico,
che la fede è più complessa di quanto ritenesse, e che in essa il
dubbio – il dubbio del fedele rigoroso che sente di aver perso la
capacità
di credere
– gioca un ruolo importante, forse più importante di ogni
“incrollabile certezza”. E tuttavia – suggerisce il cattolico
Graham Greene parlando per bocca di Pierre Morin, in maniera sottile
e imprevedibile, distinguendo nettamente la fede
dalla capacità
di credere
– il dubbio rigoroso, sofferto, l'incapacità
di credere
in quanto fame di ciò che si è perduto (e paura di non più
ritrovarlo), non distrugge la fede,
considerata un patrimonio (sia pure immateriale) che prescinde dai
credenti e dalle loro talora drammatiche oscillazioni interiori, e
persino dal loro completo inaridimento spirituale.
Un
altro piccolo gioiello, per il suo porsi a metà strada fra mondo
reale e favola, e per il suo equilibrio, è il racconto Sogno
di un altro paese.
Richiama alla mente un racconto di Dino Buzzati, Una
cosa che comincia per Elle
(incluso nei memorabili “Sessanta
racconti”),
sia per i toni che per il contenuto: anche in questo racconto di
Greene, infatti, c'è un malato di lebbra che si vede implacabilmente
scacciato, respinto ai margini della società, da parte dell'Autorità
– in questo caso incarnata da un medico apparentemente ligio al
proprio dovere. Però in Sogno
di un altro paese
il medico che condanna il povero malato alla “morte civile” non è
così ligio ai doveri, come appare; e non è neppure una vera
Autorità, giacché deve cedere alle richieste insidiose e invadenti
di autorità più grandi di lui, compiacere i desideri di un generale
e chiudere anche un occhio davanti alla sua “altolocata”
malattia, identica a quella del povero “bollato”; ma sebbene la
malattia sia la stessa, i malati non si possono trattare allo stesso
modo: ed è sempre il grado di “autorità”, non il “dovere”,
a decidere e a stabilire la sorte...
I
ragazzini protagonisti di Una
scoperta nei boschi
ricordano molto da vicino quelli de I
distruttori
[v. sopra]: anche questi infatti costituiscono una piccola “banda”
desiderosa di vivere “avventure” che sovvertano o mettano in
crisi il mondo adulto delle regole. Il pretesto che li spinge a
esplorare un territorio che va oltre gli angusti confini del
villaggio, entro il cui perimetro si svolge la vita ripetitiva dei
suoi monotoni abitanti, è la raccolta delle more; ma la vera spinta
all'avventura deriva dalla voglia di conoscere un mondo che gli
adulti del villaggio deliberatamente ignorano e tagliano fuori dal
loro ristretto orizzonte; la libertà di oltrepassare i confini è
prerogativa della “spensierata” e temeraria infanzia: i piccoli
protagonisti – o almeno i più accorti di loro – sanno già che
presto, con l'incombere dei doveri adulti e delle loro leggi,
dovranno rinchiudersi a vita nelle ingrate occupazioni del villaggio,
che non consentiranno più loro di domandarsi cosa ci sia fuori
di là e oltre.
E arrivano a scoprire che forse il confronto con quel che non si ha,
o si è perduto strada facendo, è a suo modo una faccenda crudele:
di qui la triste ragione dei “saggi” divieti degli adulti.
La
vita amorosa è il motivo conduttore della raccolta “Ci
presti tuo marito?” (pubblicata
nel 1967), i cui racconti sono pressoché tutti ambientati sulla
Costa Azzurra, in clima di vacanze.
Il racconto eponimo della raccolta, che è
il più elaborato e ricco di personaggi, mescola con grande abilità
toni diversi e contrastanti: si passa infatti dalla descrizione
leggera e sapientemente “pettegola” dei gruppi di inglesi in
vacanza al ritratto dell'infelicità interiore della protagonista, la
giovane sposa Poopy Travis, che soffre per la freddezza del marito
Peter. Nella vicenda tormentata di questo matrimonio, già naufragato
ai suoi inizi, si inserisce la stravagante coppia gay, costituita da
Stephen e Tony, i quali contribuiscono a rendere Peter cosciente
delle proprie segrete inclinazioni. La forma alla fine è salva: il
matrimonio riprende il suo corso, grazie alla nuova “consapevolezza”
di Peter, ma Poopy resta una vittima predestinata della disillusione.
Molto
simile a questo racconto, in quanto a soggetto, è Dispiacere
in tre parti,
nel quale la giovane Madame Volet, abbandonata dal marito, viene
conquistata da Madame Dejoie e scopre dunque un lato di sé che non
immaginava di avere: qui la narrazione è però più asciutta e
giocata quasi interamente sul tono di una tenera ironia.
In
Beauty
Graham Greene pone al centro del (breve) racconto, con dignità di
personaggio, un cagnolino che riesce a sottrarsi all'amore soffocante
della propria padrona, preferendo la strada agli “agi borghesi”.
Manomorta
è un altro bel racconto, in cui si narra come nella vita felice di
un matrimonio appena nato si faccia strada il tarlo distruttore che
l'accorta e sapiente “ex” del marito sa insinuare con le sue
apparentemente innocenti premure. Greene sa disegnare molto bene, e
con pochi tratti essenziali, i personaggi, e spicca soprattutto il
“confronto a distanza” fra la moglie Julia e la “ex” del
marito Philip, Josephine, presente solo attraverso le sue lettere e i
ricordi di Philip. Lui finisce per perdere la pazienza, urtando la
sensibilità della moglie, e sembra fare così proprio il “gioco”
di Josephine; ma forse non c'è nessun “gioco”, in realtà, ed è
Philip a immaginarselo, forse è lui
che si sente frustrato, non riuscendo a cancellare dalla mente il
ricordo ossessivo di Josephine.
In
agosto costa poco
narra di un amore breve e intenso, inatteso quanto insolito.
L'inglese in vacanza Mary Watson vorrebbe vivere qualcosa di
eccitante, in assenza del marito, un professore americano, ma le sue
fantasie non si concretizzano; proprio quando sembra essersi
rassegnata alla monotonia, incontra Henry Hickslaughter, un anziano
stravagante, col quale fa amicizia. L'“avventura” si svolge in
maniera tale da cogliere di sorpresa i suoi stessi protagonisti e del
resto si esaurisce tutta in una notte; i due “amanti” sono uniti
più dalla loro solitudine che da una qualche affinità (anzi forse
non hanno niente in comune, sembra dire il racconto); eppure in
quella solitudine che trova così breve conforto c'è una inusitata
tenerezza, e il desiderio ha davvero vie imprevedibili per nascere e
manifestarsi. C'è qualcosa, nella descrizione che Greene fa di
questo amore di una sola notte, che spiazza (e non
si tratta, almeno in questo caso, di una qualità negativa); da un
lato sembra disincantata, spoetizzante, e per giunta improbabile, ma
dall'altro suggerisce con impeccabili toni realistici che l'amore
nato dai sensi, di qualunque specie sia, duraturo o passeggero, ha
sempre in sé una profonda ragione, tanto che è inutile porsi dubbi
o cercare spiegazioni, quando si ha il privilegio di viverlo, fra
un'insoddisfazione della vita e l'altra.
«Si sentiva ignobile. Quale rischio poteva mai rappresentare il vecchio da giustificare il rifiuto di mezz'ora di compagnia? Lui non poteva aggredirla, allo stesso modo che la nave non poteva staccarsi dalla roccia e scendere in mare sbuffando verso le Isole Fortunate. Lo immaginava seduto insieme alla sua bottiglia di bourbon mezza vuota, cercando di perdere conoscenza. O forse stava terminando la rude lettera di ricatto al fratello? Che racconto ne poteva trarre un giorno, pensò con disgusto per se stessa mentre si toglieva il vestito: la sua serata con un ricattatore e “pirata”.C'era almeno una cosa che poteva fare per lui: dargli la sua boccetta di pillole. Indossò la vestaglia e ripercorse il corridoio, stanza per stanza, finché arrivò al 63. La voce di lui le disse di entrare. Aprì la porta e alla luce della lampada sul comodino lo vide seduto sull'orlo del letto in un pigiama di cotone tutto sgualcito a larghe strisce color malva. “Le ho portato...” incominciò, e poi vide con stupore che aveva pianto. I suoi occhi erano arrossati e il nero serale delle guance scintillava di puntini come di rugiada. Aveva visto piangere un uomo solo un'altra volta: Charlie, quando la University Press non aveva accettato il primo volume dei suoi saggi letterari.“Credevo che fosse la cameriera” disse lui. “L'avevo chiamata.”“Cosa voleva?”“Pensavo che avrebbe preso un bicchiere di bourbon” fece lui.“Ci teneva così tanto...? Lo prenderò io un bicchiere.” La bottiglia era ancora sulla toletta dove l'avevano lasciata e anche i due bicchieri: identificò il suo dal segno del rossetto. “Ecco a lei” disse. “Lo beva. La farà dormire.”Lui disse: “Non sono un ubriacone.”“Certo che non lo è.”» [Greene 2011e, pp. 422-423]
Alcuni
brevi racconti della raccolta “Ci
presti tuo marito?”
sono lievi e ironici e si sviluppano per qualche pagina a partire da
spunti singolari o paradossali: appartengono a questa categoria Un
orribile incidente,
Gli
invisibili signori giapponesi (ritratto
sarcastico delle ambizioni di una giovane scrittrice), Spaventoso
se ci pensi
e L'origine
di tutti i mali.
Il
dottor Crombie
disegna la figura di un medico scolastico sui
generis,
con una sua personalissima teoria sulla vera origine del cancro.
Graham Greene sembra provare comunque simpatia per questo suo
eccentrico personaggio, perché nonostante l'improponibilità delle
sue opinioni “mediche”, mostra compassione per il suo destino di
“ostinato perdente” sino a renderci simpatica la sua ossessione,
che è stata la rovina della sua carriera professionale. E anche in
questo racconto dell'autore inglese fa capolino il tema del rapporto
che gli adulti hanno coi loro ricordi d'infanzia.
In
Due
persone garbate
ricompare il tema di In
agosto costa poco
[v. sopra], ovvero dell'incontro di due persone che, a dispetto dei
loro doveri sociali e/o coniugali, scoprono di potersi amare; lo
svolgimento però è differente, perché qui sia lui che lei si
limitano a parlare un po' di sé, sfiorando col pensiero la
possibilità di rivedersi e di approfondire la loro reciproca
conoscenza; ma poi, essendo appunto “due persone garbate”, non
osano sconvolgere realmente il corso delle cose, sicché ciascuno dei due torna docilmente alla propria infelice vita matrimoniale. L'ironia (molto
calibrata e sottile) e il senso del rimpianto si mescolano nel
racconto quasi in parti uguali, come accadeva ne Il
film porno
[v. sopra], che trattava ugualmente del rimpianto per le occasioni
sfuggite.
«[...] Nessuno di loro desiderava fare altre domande; sembrava si conoscessero più profondamente di quanto conoscessero qualsiasi altra persona. Era come un matrimonio felice; il periodo della scoperta era finito: avevano superato la prova della gelosia, e ora erano tranquilli nella loro mezza età. Tempo e morte rimanevano i soli nemici, e il caffè fu come un preavviso della vecchiaia. Dopo questo fu necessario tenere lontana la tristezza con un brandy, ma non ci riuscirono. Era come se avessero fatto esperienza di una vita intera, misurata in ore come quella delle farfalle.[…] Era una agonia mortale ed erano troppo garbati per resistere a lungo. Egli disse: “Posso accompagnarla a casa?”“Preferirei di no. Veramente. Lei abita così vicino.”“Potremmo bere qualcosa sulla terrasse?” suggerì col cuore pesante.“Non farebbe niente di più per noi” disse lei. “La serata è stata perfetta. Tu es vraiment gentil.” Si accorse troppo tardi di aver adoperato il “tu” e sperò che lui non conoscesse abbastanza bene il francese da accorgersene. Non si scambiarono indirizzi o numeri di telefono, poiché né l'uno né l'altra osava suggerirlo: l'ora era giunta troppo tardi nella vita di tutti e due. Le trovò un taxi e lei se ne andò nella direzione del grande Arco illuminato, e lui s'incamminò lentamente verso casa lungo Rue Jouffroy. Quello che è paura nei giovani è buon senso nei vecchi, ma ciononostante ci si può vergognare del buon senso.» [Greene 2011f, pp. 469-470]
“L'ultima
parola”
è una raccolta che appare alquanto diversa da quelle descritte sin
qui, ed è anche l'ultima tra quelle pubblicate da Graham Greene (è
del 1990, ma alcuni dei racconti che contiene risalgono a epoche precedenti). Le
“tesi” sembrano qua e là prendere il sopravvento rispetto alla
“pura” narrazione. In alcuni dei racconti predomina la politica
come soggetto: è il caso ad esempio del racconto che dà il titolo
alla raccolta, il quale narra della “strana” avventura
dell'ultimo pontefice cattolico in un'ipotetica dittatura universale
del futuro, oppure de La
memoria di un vecchio
(che, scritto nel 1989, risulta oscuramente premonitore circa le
azioni del terrorismo internazionale del XXI secolo), de Il
biglietto della lotteria,
nonché di Un
appuntamento con il Generale
(ambientato anch'esso in un'ipotetica dittatura militare).
Ma neppure in questa raccolta mancano i
racconti in cui il talento narrativo di Graham Greene emerge con
innegabile evidenza.
E'
il caso, ad esempio, di Notiziario
in inglese,
la cui vicenda si svolge all'epoca della Seconda guerra mondiale.
David Bishop, ex professore di matematica ad Oxford, sembra aver
tradito la sua patria, l'Inghilterra, mettendosi inaspettatamente a
collaborare coi nazisti; eppure, nonostante le apparenze siano contro
di lui, la moglie Mary intuisce che le cose stanno diversamente, e
afferma contro tutti questa sua intima convinzione; la donna arriva a
difendere l'integrità morale del marito anche contro la suocera, che
è la prima ad attaccare il proprio figlio, considerandolo un vile
traditore. E proprio questo personaggio di giovane donna, Mary
Bishop, è tratteggiato con maestria dall'autore, divenendo con la
sua fede nel marito il fulcro dell'intero racconto, così come è
centrale il contrasto con la suocera, implacabile e dura
nell'ostilità “patriottica” che dimostra nei confronti del
figlio. Nel finale Mary arriva a capire che il suo David si è
sacrificato da eroe per la patria, ma la suocera continua
imperterrita a dar credito alle apparenze, che sono a sfavore del
figlio; non ci può essere distanza maggiore fra le due donne, sempre
più estranee l'una per l'altra, e divise irreparabilmente proprio da
ciò che apparentemente le accomuna (il legame con David).
Sempre
nella Seconda guerra mondiale è ambientato Il
tenente morì per ultimo,
che parla con vero humour
britannico del modo insolito in cui un villaggio inglese si salva
dall'incursione a sorpresa di un gruppo di soldati tedeschi.
L'uomo
che rubò la Torre Eiffel
è una specie di breve scherzo narrativo, che vuole ironizzare sul
carattere dei Francesi.
Il
momento della verità
è invece un racconto dai toni delicati, che ha per protagonista il
cameriere di un ristorante, Arthur Burton, il quale porta in sé un
segreto, che improvvisamente sente di poter condividere con una
coppia di clienti del ristorante. Nella sua solitudine immagina di
aver trovato, sia pure per poco tempo, finalmente degli amici.
Il
mondo dei ristoranti è al centro anche del racconto Un
ramo del servizio.
In questo caso però si aggiunge il tema dello spionaggio, in una
veste piuttosto insolita; e nello sviluppo della vicenda ha un ruolo
importante anche la sensibilità dello stomaco del protagonista.
Più
ortodosso, ma solo fino ad un certo punto – rispetto ai canoni del
genere – è l'altro racconto “giallo” della raccolta,
Assassinio
per la ragione sbagliata.
La chiave dell'enigma sta tutta nel passato, in vicende ormai
lontane, in occasioni perdute in gioventù (un tema che in qualche
modo ricorre in Greene); il presente è arrivato troppo tardi a
pareggiare i conti, come suggerisce il titolo.
E
in effetti di occasioni e speranze perdute parla anche un altro
racconto, La
casa nuova,
che ha per protagonisti un architetto, Handry, e il suo primo
committente, Samuel Josephs. Handry ha una concezione artistica e
creativa della propria professione, e Josephs lo invita invece a
svilupparne il lato pratico e a diventare più accomodante. Il
giovane architetto sembra non volere scendere a compromessi e
sacrifica persino la possibilità di guadagno, pur di difendere
“l'ideale”. Ma il senso pratico sa trovare la strada per arrivare
al cuore anche dei più “puri”...
Molto
simile alla raccolta “L'ultima
parola”
è il gruppo dei “Nuovi
racconti” (eterogenei,
quanto a epoca di scrittura), che sembra quindi collocarsi nella
stessa scia. Anche in questo caso sono presenti temi sociali e
politici, e soprattutto Greene sembra interessato qui a occuparsi del
comportamento della Chiesa cattolica: lo fa in effetti in due
racconti, La
benedizione
e Chiesa
militante.
Mentre il secondo è in sostanza un bozzetto ricco di humour
sulle ambizioni missionarie del clero in un'Africa che, assillata da
ingiustizie sociali e problemi di sopravvivenza, non sempre sembra
interessata alla “salvezza spirituale”, il primo, concedendosi di
sfuggita anche qualche ironia sul mondo dei giornali e dei
giornalisti, si interroga sul vero significato della benedizione.
Perché – si chiede lo scettico Weld, protagonista del racconto –
un arcivescovo benedice i cannoni? Com'è possibile che Dio nutra
benevolenza per macchine di morte e sterminio? La risposta gli giunge
inattesa da un semplice fedele. Come in Visita
a Morin
[v. sopra], Greene in questo racconto fa trasparire in maniera
discreta ma netta la sua visione circa talune fondamentali e
controverse questioni di fede.
Completano
la breve raccolta i racconti Caro
dottor Falkenheim,
un divertissement
dai risvolti macabri su Babbo Natale (e, di straforo, anche
sull'infanzia e i suoi traumi: tema non trattato più però col
pathos
di un tempo, giacché il paradosso pervade la narrazione) e L'altro
lato della frontiera,
un vecchio racconto che Greene aveva lasciato incompiuto per anni e
che si decide a proporre al lettore così com'è, dopo averlo
lasciato per decenni a riposare nel cassetto, quasi volesse
confrontarsi pubblicamente, a carte scoperte, con la sua ispirazione
giovanile, senza nascondere ingenuità e difetti.
In
definitiva, scorrendo i numerosi racconti di Graham Greene, si scopre
un autore ben più complesso e sfaccettato del “Greene esotico” o
“spionistico-avventuroso”, che è quello più noto (e comunque
valido), ossia quello di romanzi come Il
console onorario
o di film come Il
terzo uomo.
Per Greene, insomma, il racconto non era una semplice “vacanza”
fra un romanzo e l'altro, ma un lato importante del suo talento di
narratore, nonché un serio impegno, che non viene meno al suo
pluridecennale “patto col lettore”, e infatti per quest'ultimo il
Greene dei racconti non può che essere, a mio parere, una piacevole
scoperta.
Testi
citati:
-
[Greene 2011a]:
G. Greene, La
stanza nel seminterrato,
trad. ital. di Piero Jahier e May Lis Rissler Stoneman, in G. Greene,
Tutti i racconti,
Oscar Mondadori, Milano 2011 // ed. orig. della raccolta: Complete
Short Stories, Penguin Books, London 2005.
-
[Greene 2011b]:
G. Greene, L'innocente,
trad. ital. di Elena Sciarra, in G. Greene, Tutti
i racconti,
cit.
-
[Greene 2011c]:
G. Greene, Fratello,
trad. ital. di P. Jahier e M. L. Rissler Stoneman, in G. Greene,
Tutti i racconti,
cit.
-
[Greene 2011d]:
G. Greene, Sotto
il giardino,
trad. ital. di Bruno Oddera, in G. Greene, Tutti
i racconti,
cit.
-
[Greene 2011e]:
G. Greene, In
agosto costa poco,
trad. ital. di Gianna Ottolenghi Galluccio, in G. Greene, Tutti
i racconti,
cit.
-
[Greene 2011f]:
G. Greene, Due
persone garbate,
trad. ital. di G. Ottolenghi Galluccio, in G. Greene, Tutti
i racconti,
cit.
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